A Ognuno La Sua Bocca Di Rosa
(Il 15 giogno 2010 moriva a Genova Liliana Tassio, la donna che avrebbe ispirato “Bocca di Rosa” a Fabrizio De Andrè)
Aveva 88 anni, si è spenta all’ospedale di Sampierdarena. Ispirò con la sua grazia e la sua malinconica bellezza il cantautore genovese che ne cantò la storia consegnandola all’Olimpo della musica. (Repubblica e Secolo XIX)
Non so se ci sono ancora persone che possono raccontare di avere conosciuto Bocca di Rosa. Io la mia ce l’ho. Scolpita nella memoria.
Forse avevo quattro anni quando venne ad abitare vicino a casa mia, nel gruppo di case storiche di Via Fornace Gallotti, una signora (a me sembrava una vecchia signora) che veniva da Monghidoro. In realtà aveva 33 anni (me lo ricordo perchè il giorno del suo compleanno tutti gli facevano gli auguri, dicendole “Gli anni di Cristo…”, anche quella cosa lì mi colpì abbastanza). Si distingueva per il suo modo di vestire sempre molto appariscente, per il suo trucco piuttosto pesante e per la delicatezza delle mani (le altre donne avevano la pelle rovinata dal lavoro pesante), dalla scia di profumo che lasciava al suo passaggio, dalle forme generose. Le sere d’estate, di fronte casa, sotto i meli di fianco al Bar Turista, dove ora c’è un palazzo, i vicini di casa si fermavano fino a tardi a chiacchierare, e raramente c’era più di un filo di luce. Per lo più erano le lucciole (intese come insetti) che facevano notare la loro presenza. “Anna Mora”, perchè c’era anche “Anna di Ivano”, si fermava a chiacchierare per un po’. Soprattutto parlava di Gianni Morandi, della sua famiglia, di quanto avesse lottato per diventare quello che era. A Monghidoro, allora, penso fossero in 3000 abitanti… Stava lì fino ad un certo punto, poi se ne andava alla chetichella, saliva nel suo appartamentino di due stanze al primo piano, in un cortile che faceva parte della proprieta di “Gino E Lungò” (Gino, l’Alto, il proprietario del piccolo complesso di cui forse tra un po’ racconterò le gesta). Io non capivo bene, perchè a quel punto “i vecchi” dicevano che andava a lavorare, mentre mio padre usciva alle 7 del mattino e tornava tardi la sera per andare in fabbrica, non mi spiegavo ancora che genere di lavoro fosse quello di Anna. Dicevano un’altra cosa che non capivo bene “Fa la vita”. A me incuriosiva molto, perchè avevo la sensazione che la sua “vita” avesse a che fare con la musica: dalla sua finestra aperta uscivano le note dei 45 giri a tutto volume che ascoltava dalla mattina fino al primo pomeriggio. Ricordo che mi piaceva da impazzire Una Carezza e Un pugno di Celentano e In Ginocchio da Te del mitico Morandi (che finì anche nei miei pensierini a scuola), canzoni che poi ascoltavo dagli altoparlanti della spiaggia, in colonia, al mare.
Poi c’era la canzone di una storia che aveva cambiato la vita a tutti i bambini italiani: “La triste storia di Ermanno Lavorini” (la versione che ricordavo non l’ho trovata sulla rete)…
Col tempo imparai i particolari. Ma “Anna Mora” e la sua vita, l’arrivo di uomini un po’ spauriti che cercavano il campanello al cancello, altri che si perdevano ed arrivavano anche a suonare il nostro per chiedere indicazioni fanno parte della mia memoria bambina e hanno un buon sapore.
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