Compagni!
(Il 21 giugno del 2010 sui giornali c’era un florilegio di pezzi per l’intervento di Fabrizio Gifuni dove usò tra gli applausi la parola “Compagni”, il migliore di tutti, come spesso capita era il pezzo di Filippo Ceccarelli. Il mio commento non era un gran che, ma le foto e i video meritavano)
Dopo di che la parola fu in qualche modo subissata da un’onda di varia e beffarda dissacrazione, dai “Compagni di merende” (copyright Filippo Mancuso) fino al “Compagno Fini”. Ma nessun colpo di grazia, come si intende anche oggi, ha impedito che nei tronconi costituitivi dell’imminente Pd, partito subito disponibile a spendersi e lacerarsi nelle più bislacche e autolesionistiche controversie, si riaprisse periodicamente la questione dei compagni o non compagni. In questo senso vale rammentare che nel 2007 il leader della Margherita Francesco Rutelli concesse il suo benestare all’uso di “compagno”, ma non senza aver commissionato un’indagine sulla parola nelle Sacre Scritture. La squadretta di filologi rutelliani scovò oltre cento ricorrenze. La più significativa era nel libro del Siracide: “Non è forse un grande dolore quando il compagno diventa un nemico?”. Che si adatti abbastanza bene proprio a Rutelli, uscito dal Pd, dice molto sul potere delle parole e sulle vendette che a volte tengono in serbo.(Ceccarelli su Repubblica)
Compagno è un modo bellissimo di chiamarsi. Oggi lo ostentano gli snob come me (ma dietro c’è una dose di ironia e di nostalgia che non offusca la bellezza della parola). E’ un termine che ha perso il suo calore, ma non può essere meno affiasciante. Si chiamavano compagni tra loro i partigiani, si chiamano “compagni di scuola” quelli che insieme formano la propria cultura e il proprio modo di pensare. Sono compagni quelli che raggiungono grandi obiettivi, sportivi o politici che siano. Certo c’è la coltre di nebbia e di freddo dei “compagni sovietici” a fare paura, ma ci sono i compagni di squadra, i compagni di corso, i compagni di lotta… Il fatto che sia una parola desueta non vuole dire che debba per forza essere morta. Chi ha avuto una storia non dimentica la propria terra, non ha tranciato tutte le proprie radici. Per questo se sente l’odore della propria identità passata si appassiona, si scalda, applaude. Fa strano, tra le altre cose, che a ridestare il fuoco della passione sia una parola pronunciata da un attore. Quasi che la politica si vergogni e lasci tutto sotto traccia, cacciando la polvere sotto il tappeto. Ma gli stessi che magari hanno applaudito tiepidamente, chiacchierando fuori dall’ufficialità, dicono nei corridoi cose molto più forti di quelle che emergono dalle relazioni e dagli interventi pubblici. Coraggio, Compagni del PD, scrollatevi la polvere dalle spalle e datevi una mossa.
Cercando le foto per questo post scopro che ne I Compagni di Mario Monicelli c’era anche una che non diverrà attrice, ma sarà “solo” Raffaella Carrà, una compagna che nelle vittorie elettoriali del PCI degli anni 70 andava a festeggiare sotto la terrazza di Via delle Botteghe Oscure…
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