Vaqueros verso Oaxaka (di Vittorio Zincone)
Vittorio Zincone
Giornalista e Autore
La nostra prima volta. Mi pare che fosse in uno studio televisivo per una produzione Wilder. Gli proposi anche un lavoro che fece bene a rifiutare.Vaqueros verso Oaxaka
Messico, 1993
La foto. Raramente mi sono sentito John Wayne come in quel momento. Ricordo, che a un certo punto mi sono guardato intorno per vedere se c’era una lattina di olio Cuore e saltare una palizzata (la cultura di Carosello è incancellabile)… non c’era: siamo ripartiti.
“Okaka”. “Ocsaka”. “Uacsaka”. Avevamo trascorso il pomeriggio ridendo. In un bar affacciato sullo zocalo. Nessuno di noi aveva la minima idea di come si pronunciasse il nome di quel posto infuocato. Ci eravamo finiti quasi per caso. Poi una vecchietta si era avvicinata al nostro tavolo e aveva scandito: “Ua-ha-ka”. E noi, in coro: “Uahaka”. E giù un altro bicchierino di mezcal. Ale si era procurato una decina di quelle larvette che si fanno affogare nel liquore per dargli un sapore più forte. Un compagno della sezione gli aveva raccontato che da vive hanno un effetto allucinogeno. Non aveva perso l’occasione. Rovesciò i vermetti sul tavolo. Giulio propose di farli gareggiare tra loro. Io ne presi uno e me lo infilai in bocca. Si dimenava solleticando il palato. Lo buttai giù con una sorsata. La vecchia si fece il segno della croce.
***
Le piramidi non erano lontane, ma partimmo all’alba. La Nikon ammaccata appesa al collo. Lo squillo delle trombe della Guelaguetza ancora nelle orecchie, gli occhi gonfi di colori e di gonne roteanti nella piazza. Me ne stavo quasi collassato sul sedile posteriore. La faccia schiacciata sul finestrino semi aperto. Entrava l’odore forte dell’erba alta. Li vidi in lontananza, sul bordo della strada. La luce abbracciava la mandria e i due vaqueros chiudevano il corteo trottando. Rallentammo. Arrivò una zaffata animalesca, calda. Chiusi gli occhi. Si fece buio. Vidi Tex rotolare tra le zampe delle vacche. Una sacerdotessa zapoteca con una torcia in mano, in cima alle mura di Monte Albàn, sbraitava. Volavano frecce. Il ranger sparava. Bang. Pensai che non si era mai spinto così a Sud. Urlai: “Attento, Satanasso, attento”. Sentii una frustata fredda. Giulio mi aveva rovesciato mezza borraccia d’acqua sulla nuca. Scesi dalla jeep e scattai.
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