Il duro (di Barbara Ardito)
Mar 06, 15
Barbara Ardito
Funzionaria RAI
La nostra prima volta. Ricordo un ristorante – fattoria ad Ostia. Alessandro, Matteo e ancor di più Marco erano piccoli. Barbara una torinese colta e curiosa. Siamo diventati tutti amici.
Il duro
Quartiere copto de Il Cairo, 1994
La foto. Più del caldo ricordo la polvere e la fuliggine che arrivava da una distesa di mucchi di terra, punteggiata da piccoli falò di immondizia attorno ai quali giocavano i bambini. Dentro le mura c’era lui, 5 anni e la dignità di un trentenne.
Una maglietta sporca, vecchia, mezza distrutta, con un logo famoso, noto a tutti i bambini degli anni ’90. E’ il logo di una serie di fumetti, di cartoni e di un film che arriva da un mondo lontano per usi e costumi, ma attraente, colorato, dove tutto apparentemente funziona bene.
A indossarla con aria fiera è un bambino che avrà, si e no, 5 anni e vive al Cairo.
Intorno a lui tutto è rotto, fatiscente ed è facile immaginare che la sua vita non sia proprio agiata. Alle sue spalle una bambina, forse sua sorella, trasporta una sorta di carrello che usa per raccogliere da terra dei cartoni, per farci cosa non si sa. In lontananza un adulto tira un carretto. I bambini sono i suoi figli? Stanno tutti e tre lavorando? Non è dato saperlo, ma una cosa è certa non stanno giocando.
Abdul è in piedi, le mani appoggiate sui fianchi in posa sicura, ci guarda dritto negli occhi e non sorride. Il suo sguardo non lascia molto spazio alla nostra immaginazione. Ci sembra di sentirlo dire: “Questa è la mia strada, il mio mondo. Che cosa volete? Fermi lì!”.
Abdul è un bambino piccolo a vedersi, ma già grande nel modo di porsi. Ci piacerebbe immaginarlo mentre gioca e si diverte, sorridente e spensierato come dovrebbero essere tutti i bambini piccoli, ma lui ha cose più importanti da fare.
Forse Abdul si sente come Leonardo, il leader di quelle famose tartarughe di cui indossa fiero il logo, coraggioso e sicuro, pronto a battersi per il suo mondo. E probabilmente sarà proprio questa sua determinazione che lo aiuterà a tirarsi fuori nel tempo da questa situazione di difficoltà. O almeno ci piace sperare che sarà così.
Ma dietro a quella espressione fiera non possiamo non sapere che si nascondono paura e disagio e che lo spazio dei giochi per i bambini come Abdul dura troppo poco.
Abdul non si chiama veramente così e che viva al Cairo lo dice il fotografo. Potrebbe essere Antonio, un bambino italiano in uno scatto del dopoguerra oppure Salem, un bambino siriano dei nostri tempi. Abdul, Leonardo, Antonio e Salem sono i bambini che da sempre vivono nelle situazioni difficili figlie del nostro mondo, dove il benessere è per pochi e l’infanzia dei giochi è purtroppo ancora per pochissimi.
Nel 1994 si è svolta al Cairo la Conferenza internazionale su Popolazione e Sviluppo e 179 paesi hanno affermato che sviluppo e popolazione sono strettamente collegati, e che i diritti delle donne all’istruzione, alla salute (compresa quella riproduttiva) sono strumenti fondamentali per migliorare le condizioni di vita individuali e per uno sviluppo equo e sostenibile. Per la prima volta nella storia una Conferenza mondiale ha avuto come centro i diritti della donna. Sono stati concordati una serie di obiettivi precisi ed espliciti: la rimozione della disuguaglianza tra i sessi a livello di istruzione primaria e secondaria entro il 2005, la garanzia dell’istruzione primaria per tutti entro il 2015; nette riduzioni della mortalità materna, perinatale e della mortalità infantile al di sotto dei 5 anni e infine l’accesso universale entro il 2015 ai servizi per la salute riproduttiva e sessuale, compresi tutti gli strumenti per una sicura e affidabile pianificazione familiare.
A distanza di 20 anni ci sono stati progressi nella riduzione della mortalità infantile e materna e nella direzione dell’obiettivo di migliorare l’accesso all’istruzione primaria, ma la battaglia delle donne per i diritti allo sviluppo e quella per la difesa dei diritti dei bambini sono ancora in fieri.
A indossarla con aria fiera è un bambino che avrà, si e no, 5 anni e vive al Cairo.
Intorno a lui tutto è rotto, fatiscente ed è facile immaginare che la sua vita non sia proprio agiata. Alle sue spalle una bambina, forse sua sorella, trasporta una sorta di carrello che usa per raccogliere da terra dei cartoni, per farci cosa non si sa. In lontananza un adulto tira un carretto. I bambini sono i suoi figli? Stanno tutti e tre lavorando? Non è dato saperlo, ma una cosa è certa non stanno giocando.
Abdul è in piedi, le mani appoggiate sui fianchi in posa sicura, ci guarda dritto negli occhi e non sorride. Il suo sguardo non lascia molto spazio alla nostra immaginazione. Ci sembra di sentirlo dire: “Questa è la mia strada, il mio mondo. Che cosa volete? Fermi lì!”.
Abdul è un bambino piccolo a vedersi, ma già grande nel modo di porsi. Ci piacerebbe immaginarlo mentre gioca e si diverte, sorridente e spensierato come dovrebbero essere tutti i bambini piccoli, ma lui ha cose più importanti da fare.
Forse Abdul si sente come Leonardo, il leader di quelle famose tartarughe di cui indossa fiero il logo, coraggioso e sicuro, pronto a battersi per il suo mondo. E probabilmente sarà proprio questa sua determinazione che lo aiuterà a tirarsi fuori nel tempo da questa situazione di difficoltà. O almeno ci piace sperare che sarà così.
Ma dietro a quella espressione fiera non possiamo non sapere che si nascondono paura e disagio e che lo spazio dei giochi per i bambini come Abdul dura troppo poco.
Abdul non si chiama veramente così e che viva al Cairo lo dice il fotografo. Potrebbe essere Antonio, un bambino italiano in uno scatto del dopoguerra oppure Salem, un bambino siriano dei nostri tempi. Abdul, Leonardo, Antonio e Salem sono i bambini che da sempre vivono nelle situazioni difficili figlie del nostro mondo, dove il benessere è per pochi e l’infanzia dei giochi è purtroppo ancora per pochissimi.
Nel 1994 si è svolta al Cairo la Conferenza internazionale su Popolazione e Sviluppo e 179 paesi hanno affermato che sviluppo e popolazione sono strettamente collegati, e che i diritti delle donne all’istruzione, alla salute (compresa quella riproduttiva) sono strumenti fondamentali per migliorare le condizioni di vita individuali e per uno sviluppo equo e sostenibile. Per la prima volta nella storia una Conferenza mondiale ha avuto come centro i diritti della donna. Sono stati concordati una serie di obiettivi precisi ed espliciti: la rimozione della disuguaglianza tra i sessi a livello di istruzione primaria e secondaria entro il 2005, la garanzia dell’istruzione primaria per tutti entro il 2015; nette riduzioni della mortalità materna, perinatale e della mortalità infantile al di sotto dei 5 anni e infine l’accesso universale entro il 2015 ai servizi per la salute riproduttiva e sessuale, compresi tutti gli strumenti per una sicura e affidabile pianificazione familiare.
A distanza di 20 anni ci sono stati progressi nella riduzione della mortalità infantile e materna e nella direzione dell’obiettivo di migliorare l’accesso all’istruzione primaria, ma la battaglia delle donne per i diritti allo sviluppo e quella per la difesa dei diritti dei bambini sono ancora in fieri.
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