Scola e il fanciullino che era in lui
Platone in “Fedone” fa dire a Cebete, rivolto a Socrate: “Maestro, noi siamo qui ad ascoltarti, ma siamo impauriti, tu stai parlando della morte e della sopravvivenza dopo la morte e noi siamo, di fronte a questi discorsi, impauriti, come bambini nel buio, che cosa ci dici per toglierci questa paura?” E Socrate risponde a questi suoi allievi: “Ma io non ho nessuna intenzione di aiutarvi, questo fanciullino dovete coltivarlo dentro di voi, dovete conservarlo, dovete mantenerlo. Il bambino ha paura del buio perché in quel buio vede più cose di quelle che voi vedete. Il bambino, per via intuitiva, arriva a verità che voi non raggiungerete mai. Per questo dovete conservare questo fanciullino, non vi toglierò certo io le paure”. Più o meno lo stesso discorso lo ha ripreso molti secoli dopo Pascoli nel “Fanciullino” ed è la stessa teoria. Ognuno di noi ce l’ha dentro, solo che non dobbiamo perderlo, anche quando siamo intelligenti e progrediti, non lo dobbiamo perdere. Sia pure in un angolo della nostra anima, quel fanciullo ci deve accompagnare sempre, fino alla morte, perché senza di lui la nostra immaginazione si spegne, lasciandoci adulti dimezzati, creature diminuite, e quindi con paure ancora maggiori.
[Ettore Scola, Torino, 8 agosto 2010]
Commenti recenti