Casellario Politico Centrale
Lo studio approfondito degli archivi, la tecnica e l’arte dell’archiviazione sono uno delle grandi passioni che non ho potuto soddisfare, almeno fino ad ora. Le grandi masse di materiale ordinato e precisamente disposto esercitano su di me un fascino notevole e in questi luoghi immagino le miniere di occasioni di approfondimento, correlazione, ispirazione. Le stesse persone che fanno lavori che hanno a che fare con questa preziosa attività spesso mi affascinano.
L’altro giorno mi è capitato sotto gli occhi questa intervista di Matteo Dalena, che ha appena pubblicato uno studio su “Puttane antifasciste – Nelle carte di polizia”. Trovarlo non è facile, me lo farò spedire, quindi non so se le promesse siano davvero mantenute, ma l’argomento è assai intrigante. Nella memoria mi sono corse alcune immagini cinematografiche forti: Vincere di Marco Bellocchio (per la fine che fece Ida Dalser, sventurata amante di Benito Mussolini); oppure Salon Kitty, di un Tinto Brass ancora considerato autore molto serio e intellettuale (ricordo che fu uno dei primissimi film che andai a vedere da minorenne anche se “vietati ai minori di anni 18”), di quella pellicola sono andato a recuperare il cast che comprendeva: Helmut Berger, Ingrid Thulin, Teresa Ann Savoy (non saprei dire quante attrici in quegli anni fossero più sensuali di lei), John Steiner, Paola Senatore, Stefano Satta Flores…
Ma ancora – e gli esempi potrebbero essere davvero mille e più – ho ripensato a Via delle Oche e alle storie nere di Carlo Lucarelli che sulle carte del Ventennio si è formato e ci ha deliziato con i suoi romanzi.
Ma se nel Casellario Politico c’erano queste storie scovate da Dalena, che aggiungevano un pizzico di morbosità alla cronaca del tempo, altri nomi, altri volti sono di persone normali, che facevano lavori nomali: umili o nobili che fossero. Naturalmente, quando ho trovato il link alla Banca dati dell’archivio della polizia, conservato presso l’Archivio di Stato, sono andato a vedere quanti e chi erano quelli che venivano da Imola.
In effetti, dei 632 schedati, ci sono i cognomi di persone che incontriamo tutti i giorni per le strade della città, che dirigono aziende, insegnano ai nostri figli, gestiscono negozi e sono impiegati pubblici, amici… Dietro quei cognomi non ci sono storie che percepisco come “Le vite degli altri“. Sono la nostra storia, le nostre storie. Siamo sangue del loro sangue: materia che sta nelle fondamenta della città di oggi e che credo dovrebbero stare anche in quella di domani.
Ora, da tempo ho nel cassetto un’idea di racconto ambientata nell’Imola degli Anni ’50. Questo archivio mi ha confermato una sensazione che ho sempre avuto: se si va oltre un nome ed un cognome, se si va oltre una semplice scheda, oltre ad uno sguardo di una foto tessera, troveremo materiali pregiati… quanto potrebbe essere meraviglioso raccontare un tempo, neppure così remoto e quanto ancora potrebbe insegnare la storia di queste persone ai nostri amministratori, ai nostri insegnanti, ai nostri imprenditori, ai lavoratori… Dire ai giovani sarebbe troppo facile e forse anche troppo paternalistico. Scontato. Banale. Anche perchè – di questo sono assolutamente convinto – se metti la passione nelle cose che fai, se cerchi di essere accurato e preciso, le persone se ne accorgono, in particolare coloro che sono più sensibili e per questo sono sicuro che i giovani capirebbero meglio e prima di tutti gli altri il valore di questo lavoro sulla memoria e sulla realtà della generazione che ha fatto la storia recente delle nostre città.
Commenti recenti