Parole per Imola: Comunicare

Lug 24, 17 Parole per Imola: Comunicare

Quando ho cominciato a pensare che nel mio orizzonte professionale ci poteva essere il lavoro del giornalista a Imola, al di là dei “grandi vecchi” (Aureliano Bassani, Giorgio Bettini, Ezio Pirazzini prima degli altri), c’era la nuova generazione con Walter Fuochi e Maurizio Andreoli prima degli altri. Maurizio è sempre stato uno ragionevole, riflessivo, moderato e attento. Lo dimostra anche con questa pillola di saggezza che ci invita a ragionare in modo aperto su un tema che spesso è una specie di feticcio. (cap)

 

 

COMUNICARE

Dunque la mia parola è comunicare. Ci avete fatto caso? Una delle frasi più frequenti utilizzate per giustificare, mascherare, minimizzare i fallimenti in politica è la seguente: “Non siamo riusciti a comunicare il grande lavoro che abbiamo fatto”. Non ricordo nessuno che sia sfuggito a questa comoda e spesso patetica scorciatoia. Figuratevi che ai suoi tempi di governo lo disse perfino il comunicatore dei comunicatori, tale Silvio. E non ha rinunciato a questa frase neppure tale Matteo. Avanti il prossimo.

Se ci spostiamo dal nazionale al regionale, poi al locale e giù giù fino al condominio, sembra ormai che comunicare sia la più ardua delle imprese. Sempre più difficile, paradossalmente, con l’aumentare vorticoso dei mezzi di informazione, alcuni dei quali per la verità ribattezzerei seduta stante mezzi di deformazione ma questo è un altro discorso. Eppure le squadre di comunicatori al servizio dei politici sono numerose e qualificate. Fior di colleghi, alcuni fiutando l’aria che (non) tira, hanno fatto il salto, rinunciando al sacro fuoco del giornalismo (ammesso che ne fossero pervasi) per ingrossare le file degli addetti stampa, portavoce, ghostwriter, copywriter eccetera eccetera. Non basta. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona.

Si dirà che il difetto è alla base. Se il politico è di scarsa qualità (inteso in senso generale, ogni vostro riferimento è puramente vostro), il comunicatore può essere anche un genio ma il risultato sarà sempre scadente. Concetto che non fa una grinza, ma se si vendono sempre meno giornali, se la comunicazione professionale stenta a emergere nel mare infestato da tanto sterco che chiamiamo web, se i tg tra un panino dal transatlantico romano e un’intervista in ginocchio virano sul gossip, se i talk-show crollano nello share o addirittura muoiono per manifesto disinteresse, sarà anche il caso di interrogarci, noi che in tasca abbiamo il tesserino con i bollini aggiornati dell’Ordine nazionale dei giornalisti (e parliamone, anche di quest’ultimo, magari un’altra volta).

Io ci sto a interrogarmi. Ho provato a rifletterci sopra. Se ripercorro la mia esperienza, negli anni sono passato attraverso i seguenti attrezzi del mestiere: biro e taccuino, Olivetti lettera 22, computer all’inizio enormi e poi sempre più piccoli, cellulari prima spartani poi sofisticati, tablet… Non ci crederete vista la mia età, ma tutto sommato sono riuscito ogni volta ad adattarmi. Oddio, magari uso lo smartphone come saprei guidare una Ferrari, ma in qualche modo ci riesco. Dunque il punto è un altro, il punto è che se la politica ha perso il contatto con laggente lo stesso può dirsi di noi comunicatori di professione. Discorso che vale anche al netto dell’opinione di coloro per cui siamo solo pennivendoli facenti parte della ben nota casta, un tanto al chilo e tutti nella raccolta indifferenziata.

Come uscirne? Io non lo so. Ma ho fatto un sogno. Forse perché qualche giorno prima avevo visto Il caso Spotlight, bel film sulla vicenda vera dello scandalo dei preti pedofili di Boston venuto alla luce grazie a un’inchiesta giornalistica nel 2001. Ho sognato un direttore, uno piuttosto burbero ma carismatico e illuminato, che mi proponeva di lavorare proprio come quella squadra speciale del Boston Globe. “Prendi un caso e lavoraci sopra, giorno e notte. Non importa quanto tempo ci metti, quanta gente devi incontrare, quante scartoffie devi cercare e spulciare. Fatti il culo, ma alla fine deve venire fuori una storia”. E se poi la storia non c’è? “Ti butterai su un altro caso e un’altra storia”. Ma dobbiamo essere in edicola tutti i giorni! “Qualcuno penserà a questo”. Ok direttore ci sto, ok. Viva Spotlight! Non vincerò il Premio Pulitzer, ma questo sì che è il mestiere più bello del mondo. Peccato che la realtà, nelle redazioni, viaggi in direzione ostinata e contraria. Non sto dicendo che il nostro non sia ancora un bel mestiere, dico che man mano perde fascino, dico che qualcuno ha preso in braccio un estintore nel tentativo di spegnere ogni fiammella del sacro fuoco.

Eppure come altri sono stato fortunato. Ho potuto scrivere per una quarantina d’anni fiumi e fiumi di parole senza che nessuno mi abbia mai dettato una sola riga. Ogni stupidaggine che mi è uscita dalla tastiera è farina del mio sacco e quando mi sono fatto fregare è stata solo colpa mia. Almeno sulla notizia del giorno, la mitica apertura, avevo il tempo di buttarmi, potevo dedicarle qualche ora della mia giornata lavorativa. Una giornata senza orari, nel senso che finiva solo quando finivo, ma l’adrenalina era proprio lì, quello era il bello del mestiere. Ora è molto più difficile, quasi impossibile. Ormai le redazioni sono sempre più spolpate, i tempi sempre più risicati, i giornalisti (tranne gli eletti) sempre più sottopagati. Sei travolto dal quotidiano che ti toglie qualsiasi possibilità di fare anche il minimo approfondimento. E poi non puoi mica arrivare secondo nel mare di cui sopra, devi buttare online tutto e subito, a volte con tanti saluti a una delle regole basi: la verifica. Senza possibilità di rettifica, perché ormai è inutile: quello che hai pubblicato è già virale (odio questa parola quasi quanto odio la parola location).

Va così. Fino a che verrà un direttore, ma prima ancora un editore, come quello del sogno. Mi piace pensare che forse allora avremo (avrete) scoperto la chiave per ritrovare il contatto con laggente. E forse il vituperato giornale di carta eviterà di finire in cenere, alla faccia di tutte le Cassandre che ne annunciano da anni i funerali. Insomma, per citare Mark Twain, la notizia della morte dei giornali è fortemente esagerata.

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Ps: Rileggendo noto che ho scritto un sacco di parole straniere: ghostwriter, copywriter, talk show, share… Non ho dubbi: anche solo per questo motivo quel direttore straccerebbe il mio articolo e me lo farebbe riscrivere da capo.