I mediterranei messi in mostra da Massimo Golfieri

Set 13, 17 I mediterranei messi in mostra da Massimo Golfieri

Quanti sono i mediterranei del nostro orizzonte? Alla domanda ha cercato una risposta Valentina Rossini che ha incontrato Massimo Golfieri, autore di un progetto fotografico che mostra le mille facce delle popolazioni che si affacciano sul nostro mare e celebra l’unità nella diversità. Il progetto ideato e coordinato da Sonia Mugellesi è prodotto dall’Associazione POP. Il vernissage è venerdì 15 settembre alle ore 20 nello spazio Via Emilia 207. La mostra gratuita del fotografo imolese, maestro del bianco e nero, rimarrà aperta fino al 14 ottobre. 

 

“Ho voluto raccontare il Mediterraneo come terra di incontro, non come un mare che ci separa”. Così Massimo Golfieri, fotografo imolese indipendente ed eclettico, sempre diviso tra obiettivo e pittura, sul significato del suo progetto fotografico in occasione della mostra, organizzata dall’associazione POP, che sarà visitabile gratuitamente in via Emilia 207 fino al 14 ottobre.

“10 Fotografie” da Mediterranea è di un’esposizione che vuole essere un augurio per una pace finalmente libera da ogni deriva fondamentalista, non solo all’interno del bacino Mediterraneo, ma in tutto il mondo.  Golfieri è amato soprattutto per un percorso fotografico lungo venticinque anni, un viaggio per immagini dagli esordi all’apice della sua carriera in cui racconta il Mediterraneo come un luogo di appartenenza in cui è possibile trovare enormi similitudini anche tra paesi apparentemente inconciliabili. Con uno stile che mescola tecnica e senso poetico, l’autore non ha mai smesso di lavorare sul teatro della vita, e annusarne l’odore. Da qui l’idea di raccontare per immagini con il savoir-faire deciso e non invadente del fotoreporter capace di immortalare la vita in ogni sua sfumatura.

Foto conviviali, non posate, spontanee, raccolte ovunque. Scatti per conoscersi meglio, come quella che ritrae un gruppo di donne nomadi in viaggio dalla Grecia verso la Turchia. Zingare che mostrano sorriso e tristezza, capelli scuri e raccolti che profumano di vento d’estate, e gli occhi infinitamente profondi. Non tutte ti guardano. Alcune di loro sembrano chiederti perché le osservi, e ti viene da non capirlo, ma continui a guardarle. Indossano vestiti a fiori e non hanno paura. Sono belle di nostalgia e di forza, tengono insieme tante contraddizioni e sorprese. Come ciascuno di noi; fatto a modo suo, diverso, irripetibile. Ma il messaggio sotteso è che siamo tutti simili nella nostra diversità.

Stiamo vivendo un mondo di grande transizione e di drammi notevoli, una fase di caos. Siamo il 2017, ma non solo. Perché le nostre radici non sono del tutto contemporanee, siamo anche Ottocento, Seicento, futuro. Siamo il Mediteraneo, nostro luogo di appartenenza tornato al centro della storia.

Cosa significa ripartire dal Mediterraneo?

“Significa adoperarsi perché l’incontro tra le tradizioni generi una reale integrazione e un sentiero comune nel quale le differenti culture imparino le une dalle altre e siano in grado di ripensare se stesse per mettere da parte le divisioni, ed essere uniti nelle diversità”.

Quindi siamo tutti nella stessa barca e ci sciacquiamo nello stesso mare. Quanto contano gli schemi cuturali e che messaggio ci offrono?

“La peculiarità del Mediterraneo non sta solamente nel clima o nella bellezza dei panorami e della vegetazione, ma nel fatto di essere un mare tra le terre che favorisce una contaminazione continua e un confronto reciproco”.

Le belle foto possono diventare un limite espressivo?

“La ricerca estetica non deve essere una forzatura, viene con sé. Quando la ricerca estetica è virtuosismo non mi interessa, lo trovo artefatto. Ciò che conta è esprimere al meglio ciò che si vuole mostrare attraverso l’immagine: combinare l’estetica al momento giusto da cogliere. Alla Bresson”.

Qual è il suo stile e la sua maggiore ispirazione?

“Ho studiato all’Accademia di belle arti, dove i professori diffidavano dall’arte fotografica. I miei insegnanti erano pittori e la mia primissima formazione è puramente pittorica. Lo stile me lo sono formato viaggiando. Tra i maestri americani che amo c’è Weston, poi Tina Modotti, grande fotografa della rivoluzione messicana nonché compagna di Weston e come lui capace di trasformare la realtà in arte”.

Il bianco e nero è evocativo, tira fuori le emozioni, lo preferisce al colore perché riporta le differenze su due soli assi e rende i soggetti più simili e comparabili?

“Scattare in bianco e nero è come disegnare con la matita, racconta l’essenziale, interpreta le atmosfere, fa emergere l’identità e la somiglianza delle persone, le caratterizza e le rende intense. Il colore distrae, può diventare standardizzante perché la tavolozza non puoi sceglierla.

Dov’è più facile fotografare e perché?

“Penso che sia più facile fotografare i paesaggi, in Sardegna ho fotografato le pecore ma è stato quasi impossibile per via dei cani pastore. Nei luoghi islamici è complicato fotografare le donne, mentre il soggetto più facile da fotografare sono gli uomini. I bambini al contrario rappresentano un elemento dal phatos molto forte che spesso impedisce di ritrarli nella loro identità più autentica. Anche voi donne temete spesso di essere immortalate in clichè che non vi piacciono e non sempre vi sentite libere di muovervi davanti all’obiettivo”.

Se dovesse fotografare Imola in qualche immagine cosa lo interesserebbe?

“Le nostre colline, la valle del Santerno e tutte le donne del mercato ortofrutticolo che ho già in archivio, senza alcun ricorso a manipolazioni digitali e che custodisco scrupolosamente”.

 

 

 

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