Salvini e chi rovista nelle pancia degli elettori
Il partito di Salvini è il chiaro vincitore di queste elezioni politiche con il 17,6% dei voti validi diventando il terzo partito italiano a un’incollatura dal Pd e vincendo la competizione interna al centrodestra nei confronti di Forza Italia. Non solo, è anche il partito che è cresciuto di più rispetto alle elezioni del 2013, incrementando di oltre 13 punti. Una sola volta dal 1992, nel 1996, la Lega Nord era riuscita a superare il 10% a livello nazionale (10,1%). Anche ad Imola bisogna con più serietà prendere in esame questo dato, anche se tradizionalmente non c’è una credibile personalità che possa rappresentare questa forza elettorale che si esprime a livello nazionale e soprattutto regionale.
Per capire il volto alla Lega, credo sia giusto ripercorrere la biografia di Matteo Salvini, che come capo padre e padrone la rappresenta in ogni sua piega. Approfitto – come timone – della biografia pubblicata da Guido dell’Arti su Anteprima. (A proposito, vi consiglio di abbonarvi).
Matteo Salvini, è nato a Milano 45 anni fa e il 15 dicembre del 2013 è stato nominato segretario federale della Lega Nord, poi rinominata semplicemente Lega. Europarlamentare (dal 2009; in precedenza, dal 2004 al 2006). Già deputato (2008-2009; nel 2013 rinunciò appena rieletto) e consigliere comunale di Milano (1993-2012)
«Buona famiglia milanese, il papà dirigente d’azienda e la mamma casalinga, la passione per il calcio coltivata all’oratorio dei Santi Nabore e Felice, in zona Bande Nere, le medie dai preti, il liceo al Manzoni, le domeniche a San Siro a seguire l’amatissimo Milan o in gita con i boyscout, di cui è stato lupetto per cinque anni»
[Rodolfo Sala]
Entrò nella Lega Nord a 17 anni. «Al Manzoni di Milano, uno dei licei più rossi, mi avevano dato un volantino su quanto i lombardi pagavano di tasse e quanto ricevevano indietro dallo Stato. Andai alla sede della Lega in via Vespri Siciliani e mi iscrissi». Negli stessi anni, però, frequentava anche il centro sociale Leoncavallo. «Là stavo bene, mi ritrovavo in quelle idee, in quei bisogni». Iscrittosi all’università (dapprima Scienze politiche, poi Storia), interruppe anzitempo gli studi, concentrandosi sull’attività politica. Nel 1993 l’elezione al consiglio comunale di Milano, con il sindaco leghista Marco Formentini. «Il Salvini degli anni Novanta era “un ragazzo di sinistra folgorato dal progetto dell’autonomia territoriale”, scrivono Alessandro Franzi e Alessandro Madron nel libro Matteo Salvini #ilMilitante. Un comunista-leghista, sospeso tra i due schieramenti dai quali prendeva in modo equo ispirazione: indipendenza della Padania, ma con un occhio di riguardo al proletariato, agli operai, ai marginali. […] Nel 1997 Salvini partecipò alle elezioni del Parlamento Padano, organismo consultivo istituito dalla Lega Nord e aperto a tutti i cittadini padani, al di là del loro orientamento politico. La sua lista si chiamava “Comunisti padani” e sullo stemma comparivano la falce e il martello. […] I Comunisti padani ottennero cinque seggi quell’anno, uno riservato proprio a Matteo Salvini. “Leader della falce e martello verdi, Salvini ha cavalcato le zone grigie su cui la sinistra ha glissato. Parliamo di difesa del territorio, dell’italianità e del diritto al lavoro e alla casa dei lavoratori, prima degli italiani e poi degli stranieri, battaglie che ai tempi erano condivise anche dai comunisti italiani”, scrive Eleonora Bianchini in Il libro che la Lega Nord non ti farebbe mai leggere.
In forma strumentale – si doveva convincere Bossi a non schierarsi con Forza Italia nelle elezioni politiche del 1996, l’operazione riuscì e, questo va ricordato, è stato il capolavoro politico di Massimo D’Alema – c’è da citare:
La Lega c’entra moltissimo con la sinistra, non è una bestemmia. Tra la Lega e la sinistra c’è forte contiguità sociale. Il maggior partito operaio del Nord è la Lega, piaccia o non piaccia. È una nostra costola, è stato il sintomo più evidente e robusto della crisi del nostro sistema politico e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a vedere con un blocco organico di destra
Possiamo ancora dare un giudizio politico di questo genere? Io non credo. Ma se penso ad Imola, all’Emilia Romagna che tanto hanno votato per la Lega, ritengo che una riflessione sulla paura vada fatta. La sinistra non deve essere sicura che il futuro sarà certamente migliore del presente. Non possiamo sottovalutare le inquietudini che attraversano le masse popolari. Non si può pensare che per il solo fatto di governare (il Paese o le città) ciò sia rassicurante per tutti. Questa è stata una delle carte giocate dal Pd renziano e la parte oscura di questa idea-forza è stata maneggiata dalla Lega convincendo prima di tutto l’elettorato di Forza Italia e anche una parte non così marginale degli astensionisti e del voto ai 5 Stelle nella tornata elettorale del 2013.
Io ritengo che questo sia una degli elementi di fondo su cui ragionare in vista delle elezioni amministrative ad Imola.
La vera scalata al vertice del partito iniziò nel 2012, quando la Lega di Bossi fu travolta dagli scandali: Salvini fu infatti tra i primi ad appoggiare Roberto Maroni, divenendo nuovo segretario della Lega Lombarda quando Maroni divenne segretario federale della Lega Nord; quando, poi, l’ex ministro dell’Interno ebbe abbandonato la guida del partito per assumere la presidenza della Regione Lombardia, Salvini si candidò a succedergli, sfidando Bossi alle primarie leghiste del 7 dicembre 2013 e ottenendo una schiacciante vittoria, con oltre l’80% dei consensi. In questi anni, da segretario, ha impresso alla Lega Nord una profonda trasformazione. «Le alleanze con gli euroscettici, nazionalisti e islamofobi iniziarono da subito. […] E poi c’è la comunicazione: Salvini è abilissimo a incentrare su di sé tutta l’attenzione. Parla di quello che vuole la gente. Sfrutta il tema di giornata. Se ne frega delle reazioni. E se ne frega di apparire contradditorio rispetto al passato. […] Salvini ha fiutato che il rancore degli anni di crisi non è più tanto del Nord contro il Sud, ma degli elettori anonimi contro le élite, dei penultimi che hanno perso il lavoro contro gli ultimi che sbarcano nel Mediterraneo in cerca di un’occupazione. […] Il segretario leghista ha impastato questo risentimento in una proposta sovranista. […] Tutta la proposta politica della “nuova” Lega è incentrata su di lui. Sulla sua irriverenza e la sua capacità mediatica. Sulla sua energia nel mobilitare le persone. […] Salvini ha fatto piazza pulita di chiunque non fosse rigorosamente schierato con lui. Alla vecchia guardia, a partire appunto da Bossi, non ha delegato alcun ruolo. Alla nuova non ha ancora dato un mandato autonomo. Molti vecchi militanti se ne sono andati. Forte di sondaggi a due cifre, inimmaginabili con la Lega sotto il 4% del 2013, […] Salvini non ha nemmeno avuto difficoltà a cacciare dal partito l’unico possibile competitor, Flavio Tosi, con cui c’era un patto non scritto: Salvini capo del partito, Tosi candidato premier con la benedizione di Maroni. […] Cinque anni dopo quella concatenazione di eventi che lo ha portato alla ribalta nazionale, il segretario della Lega può permettersi di mettere alla porta Bossi, di dire a Maroni che non deve impicciarsi della gestione del partito, di provocare Berlusconi sulla leadership del centrodestra» (Alessandro Franzi).
Sono sempre stato convinto che Salvini sia una persona veloce nell’assorbire le tendenze, i trend topic del disagio. Quelli che predilige sono quelle più splatter e me lo vedo per trovare le sue parole d’ordine rovistare tra le frattaglie della società evoluta, con un obiettivo: cercare di mettere i penultimi (i disoccupati, i precari, le partite iva che vedono offuscarsi la loro prospettiva di guadagno: soggetti che sono tanti soprattutto nella parte più sviluppata e ricca del nostro Paese) contro gli ultimi (gli immigrati in particolare). Ma di certo lui in modo più determinato e cattivo ha rottamato la vecchia Lega più di quanto sia stata capace di fare Matteo Renzi nel PD. Certo ha avuto meno opposizioni. Con tutto il rispetto dovuto alla categoria, che ha anche espresso un discreto sindaco a Bologna, Salvini ha la postura politica di un macellaio.
Ha trasformato il partito da forza locale a nazionale, affidandosi a uomini che hanno permesso alla Lega di ottenere per la prima volta una quota di voti consistente anche al Sud . Ha cavalcato l’onda anti-europeista che sta scuotendo le fondamenta dell’Ue. Ha cominciato a strizzare l’occhio ai fascisti e alla Russia di Vladimir Putin, pur dichiarando di non voler scalfire l’alleanza storica dell’Italia con gli Stati Uniti. Ha puntato forte sui social network, riuscendo così a raggiungere una platea di potenziali elettori fino ad allora rimasti indenni dalla propaganda leghista. Insomma Matteo ha cambiato tutto, ha stravolto il Carroccio dall’interno rimanendo fedele a un solo principio bossiano: la politica anti-immigrati, ancora oggi caposaldo dell’ideologia leghista.
Se scattiamo una fotografia al 4 marzo ha avuto ragione lui. E – nella sua idea – si appresta a fare la stessa operazione anche nel centrodestra rottamando definitivamente Berlusconi.
Dopo aver cavalcato vittoriosamente il “no” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ed essere stato confermato alle primarie leghiste del 14 maggio 2017, Salvini si è preparato alla sfida decisiva delle elezioni politiche del 2018, aderendo alla coalizione di centrodestra ma chiarendo subito che il candidato premier sarebbe stato espresso dal partito che avesse ottenuto più voti. Ha quindi dispiegato un’offensiva a tutto campo, aumentando ulteriormente la sua presenza in televisione e battendo tutte le piazze d’Italia, togliendo dal simbolo del partito la parola «Nord» per presentare la Lega in tutti i collegi elettorali, ammiccando sia all’estrema destra (sui temi dell’immigrazione, dell’antifascismo e delle armi) sia all’estrema sinistra (sulle questioni del lavoro e delle pensioni), imponendo nel programma della coalizione alcuni dei punti di più ampia presa elettorale (su tutti, la cosiddetta flat tax) e contrapponendosi ogni giorno a Berlusconi, smentendo quasi ogni sua dichiarazione col proposito di minare la credibilità del vecchio leader per affermare la propria. Ultimo colpo di teatro, a pochi giorni dal voto, in piazza del Duomo a Milano, un solenne giuramento di fedeltà al popolo italiano pronunciato sulla Costituzione e sul Vangelo, rosario in pugno. In questo modo, il 4 marzo 2018, è riuscito a guadagnare alla Lega un risultato eccezionale, intorno al 17% dei voti a livello nazionale, e a strappare clamorosamente a Berlusconi (fermo, con Forza Italia, poco oltre il 14%) la palma di leader della coalizione.
Quindi? Cosa deve fare una forza di centro sinistra per rispondere, opporsi, sconfiggere chi nella ricerca della guida del paese e nel territori porta avanti in questo modo la sua linea politica? Intanto, incessantemente, pervicacemente, instancabilmente confutando i dati sbagliati che vengono proposti. Un esempio riguarda ad esempio il tema immigrati e pensioni. Non è affatto vero come ha dichiarato in campagna elettorale che: “Solo di pensioni gli immigrati che non hanno mai versato una lira di contributi, prendono un miliardo di euro all’anno.”
Ma la stessa cosa vale anche sulle politiche: la sinistra non può fare patti con chi professa la dottrina dei difensori dell’esercizio di una miope sovranità nazionale in Europa. Il sovranismo – anche se è così di moda – va combattuto sul piano politico, su quello culturale e nella pratica quotidiana. Cosa c’entrano le migliaia di volontari nel terzo settore con una parola d’ordine come “Prima gli italiani”? Prima chi soffre, direbbero i cattolici. Prima gli sfruttati diciamo noi della sinistra tradizionale. Ma non per superare chi sta un po’ meno peggio o chi si sente defraudato di diritti.
«Salvini è riuscito a fare tesoro del meglio del repertorio leghista: fin dai tempi del Consiglio comunale di Milano ha fatto politica a due velocità, facendo parte delle giunte Formentini, Albertini e Moratti ma smarcandosi chirurgicamente dal sindaco di turno, regolarmente troppo permissivo e poco attento alla “sua” gente, e mettendo in campo posizioni ambivalenti nei confronti della destra berlusconiana. […] Salvini non parla alla cosiddetta pancia del paese: in anni di incontri, fiaccolate, manifestazioni e gazebo ne è diventato parte integrante – e soprattutto credibile»
[Davide Piacenza]
Ragionevolmente è possibile un governo tra Lega e M5S?
A me pare che sarebbe opportuno che i vincitori di questa competizione elettorale cominciassero a dimostrare un senso di responsabilità e dimostrassero la loro capacità di misurarsi con i problemi del Paese, non solo con le parole. D’altra parte una rilevazione sulle opinioni degli elettori dei tre principali partiti su 19 temi dimostra che ci sono affini tra loro, rispetto all’opinione degli elettori del Partito Democratico.
«Tifoso del Milan, nel 2006 ha organizzato una diretta provocatoria su Radio Padania per tifare per la Germania contro l’Italia: mal gliene incolse. Ma una delle sue gaffe migliori in tema di scorrettezza territoriale fu un coro da stadio sul prato di Pontida nel 2009. Matteo cantò cori oltraggiosi contro i napoletani, “colerosi, terremotati”. Ma lui si è difeso così: “Erano cori da stadio, la politica non c’entra”. Come se la Lega non avesse mai usato i cori da stadio per fare politica» (Cristina Giudici)
«Per carattere, sono abituato a vedere le cose senza chiaroscuri: il bianco è bianco, il nero è nero».
[Matteo Salvini]
In questo periodo predilige il nero. Il nero sfina. Speriamo che il nero presto lo sfinisca.
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