A me gli occhi (di Simona Vinci)
Simona VinciScrittriceLa nostra prima volta. A Torino. Alla Scuola Holden, nel 1994. Lei era con Carlo Lucarelli. Partecipavamo ad un seminario su Pulp Fiction. Era timida ed elettrizzata… era davvero molto giovane.A me gli occhiA Roma, all’uscita di una mostra, nella “Macchina da Scrivere”. Nel 2012.La foto. Lapo ed Elettra scrutati da un gabbiano che, a giudicare dalla stazza, di cose ne ha viste tante…
Il tempo più bello che si passa nella vita è quello passato a guardare. Appoggiati al davanzale di una finestra, al parapetto di una terrazza, affacciati al finestrino di un treno o di un aereo.
Dovrebbero provarci, tutti quelli che desiderano solo essere guardati e non gli basta mai l’occhio che luccica sopra di loro e gli sembra faccia una gran luce quando invece acceca e basta. Quello dell’essere guardati non è tempo che resta.
Sono i tuoi, di occhi, quelli che contano, è quello che vedi tu.
Una città distesa, le finestre illuminate di un palazzo, un campo, il mare aperto, gli animali che attraversano l’orizzonte e a volte vengono a cercare il palmo della tua mano, le altre persone. La cosa più affascinante dei primi anni di vita umana è il non riconoscersi allo specchio.
Tu è io e io è tu. Non c’è distinzione tra dentro e fuori, me e te, tutto è esperienza, vita che si vive, inconsapevole incontro, esserci per stare.
C’era una volta bambina che disse a un’altra bambina: giochiamo che guardavamo? E l’altra non le rispose: ma che gioco è? Invece girò la testa e rimase zitta. Rimasero zitte così tutte e due per un milione di anni, forse di meno, forse di più: davanti ai loro occhi i dinosauri si estinsero e nuove specie animali arrivarono e si sbranarono, si adattarono, fecero amicizia e cambiarono carne, penne, piume e squame, città furono costruite, celebrate, vissute, abbandonate, rase al suole e poi ricostruite, gli oggetti passarono di mano in mano in mano e mutarono mille e mille volte forma e funzione. Il mare arrivò a ondate, poi si ritirò.
Un giorno, all’unisono, le due bambine fecero un gran sospiro, si voltarono l’una verso l’altra e si misero a ridere. Erano passati dieci minuti, l’ora era giusta per andare a prendersi un gelato.
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