Il riso amaro di Happydemia
Si può essere sarcastici di fronte ad una pandemia?
Se lo si fa in modo intelligente e raffinato non solo di può. Si deve. Per questo Happidemia era necessario.
Dopo avere raccontato la storia apparentemente surreale, ma aggrappata alla cronaca (non solo) politica poco più di un anno fa, con “Il censimento dei radical chic “, Giacomo Papi, ne fa un sequel altrettanto amaramente divertente e di una leggerezza profonda. Operazione tra il calvinismo e la calvinianità.
“Ogni volta che qualcuno gli parlava del futuro, a Michele si annebbiava l’umore perché non riusciva proprio a immaginarlo, il futuro”. Siamo messi tutti così, in questi giorni – per i più fortunati – sospesi e inquieti.
Siamo tutti aymara? Quel popolo del lago Titicaca per cui il tempo scorre al contrario. “Se gli aymara parlano del passato indicano davanti a sé, se invece si riferiscono al futuro puntano il pollice dietro la schiena. In fondo hanno ragione, se ci pensi: il passato lo conosciamo, quindi si vede. Il futuro è incognito, quindi ci sta alle spalle”.
C’è un capitolo intervista nel libro dove l’analisi politica , economica e filosofica di Giacomo ci costringono a mettere in ordine le nostre opinioni e le nostre antiche letture più radicali che chic. “Distinguere le merci, le cose, dalle idee e dalle parole, significa affermare che tutto quello che ci dà gioia, quello che mangiamo e beviamo, i frutti succosi degli alberi, l’olio spremuto, il grano, ma anche il nostro stesso corpo, vale meno dell’idea più insulsa o delle parole con cui viene espressa che come sappiamo possono essere stupide e aggressive. Significa ignorare che la materia e lo spirito sono la stessa cosa perché la materia emerge dall’energia e marcisce producendo energia, significa dire che la vita non vale niente perché vivere è meno importante che contemplare la vita. Le merci, mi creda, sono sempre anche spirito perché si basano sul desiderio”.
E’ caustico, Papi, “La democrazia, come ben sapete, non è altro che una scuola di dissensi, disaccordi, contese e inutili agitazioni di partito, un grigio diluvio di parole incomprensibili: in breve, essa è una scuola inefficiente”.
Ma possiamo dargli torto?
Non so se questa sintonia è una questione generazionale (per altro io sono molto più vecchio di lui), o di una comune appartenenza ad una corrente di confronto, peraltro piuttosto disilluso dall’offerta di cultura politica. Io mi ritrovo molto in questo libro che è anche, in fin dei conti, un piccolo trattato di critica politica contemporanea.
Per vedere la luce dobbiamo aspettare ancora. Almeno un altro libro. Papi sta creando una necessità seriale di lettura del presente attraverso i suoi personaggi. Dobbiamo aspettare le parole di un nuovo Persistente del Consiglio al ballo sul Titanic che Happydemia mi pare quasi possa evocare.
Spero di no. Ma lo temo.
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