Baal Mitridate Minosse Nandi (di Carlo Pizzati)
Mar 11, 15
Giornalista e viaggiatoreLa nostra prima volta. Ad una pausa pranzo milanese, al Living, un bel posto che era diventato la sala riunioni di via Bertani, quando Il Post era bambino.Baal Mitridate Minosse NandiLa foto. I bambini, gli adulti, le donne danzavano sulle carcasse dei buoi uccisi nel rito funerario della grande isola di Sulawesi, nell’Indonesia senza tensioni che ora non c’è più tanto.
Morta bestia bastarda. Baal, Mitridate, Minosse, toro, io che digrigno i denti nello sforzo troppo sforzo di restare qui e non scomparire.
Danzano su di me ridendo e chiacchierando gli elfi d’oro che giocano con mis entrallas attorcigliate dall’ultimo dolore prima che la mia grande e sana pancia venisse aperta con un segmento preciso e diritto, zampillante linfa rossa buona da bere e da spalmare sul viso sorridente e riuscire così a rubarmi la foga forza energia.
La testa sbattuta sulla coda, uroboro con le corna che gira e rigira all’infinito, ma resta sempre a terra, la terra fertilizzata dalle mie piastrine e globuli così cresce tutto più verde, col sangue di bue, miglior fertilizzante per le piante, comprese le infestanti illegali e sacre.
Lo stesso coltello che spunta dalla cinta ancora un po’ sporco di me è inciso nel mio osso, ché qui non si butta mai via niente e mi aprono con le mie stesse lame, le staccano dalla mia testa, le affilano e ci macellano con le nostre stesse corna.
Più dolce sarebbe finire con un corno vero nelle costole o nella gola, giocando di notte in un recinto mediterraneo, oppure allenando nomadi notturni che saltano tra di noi per studiarci e capirci, per studiarsi e capirsi, ma senza spade, solo con lunghi coltelli che usano nel buio per vedere chi è più forte veloce furbo scattante.
Ogni tanto ne rubiamo uno di questi nomadi che resta lì a terra a sgorgare il suo liquido rosso e trema e gorgheggia qualcosa che non capiamo, ogni tanto uno di loro per gioco o per alterigia infila la lama troppo a fondo ed eccoci di nuovo lì: Baal, Mitridate, Minosse. Nandi bull. Dio da massacrare. Dio da conquistare. Potenza eterna e forte e comunque per sempre stramazzante all’uscita di qualche labirinto, ai piedi di elfi d’oro che ci amano, ci curano, ci nutrono, ci baciano con le labbra dei loro bastoncini che battono battono per farci andare qui e là.
Ballano sui loro piedini, danzano le loro gambette furbe, attorno all’isola di forza e pazienza che continua a unirsi al loro gioco: veicolo, fabbrica di nutrimento bianco, ruminante sacrificio di carne e sangue.
Far sacro. Sacer fecit. Dio terra. Di terra. Per la terra. Siamo voi. Non lo capite. E continuate ad abbracciarci con i vostri artigli affilati cercando di sfilarci la vita.
Ma siamo voi. Siamo voi. Basta guardare bene in quell’occhio rimasto spalancato e aperto a guardare satvico e impassibile tutto ciò che è fuori, tutto ciò che è dentro, tutto quel che è oltre.
Guardatemi in quell’occhio immobile e lo vedrete. Troverete quello che le vostre unghie acuminate cercavano dentro al nostro cuore.
Cercatevi lì.
Ci troveremo.
Danzano su di me ridendo e chiacchierando gli elfi d’oro che giocano con mis entrallas attorcigliate dall’ultimo dolore prima che la mia grande e sana pancia venisse aperta con un segmento preciso e diritto, zampillante linfa rossa buona da bere e da spalmare sul viso sorridente e riuscire così a rubarmi la foga forza energia.
La testa sbattuta sulla coda, uroboro con le corna che gira e rigira all’infinito, ma resta sempre a terra, la terra fertilizzata dalle mie piastrine e globuli così cresce tutto più verde, col sangue di bue, miglior fertilizzante per le piante, comprese le infestanti illegali e sacre.
Lo stesso coltello che spunta dalla cinta ancora un po’ sporco di me è inciso nel mio osso, ché qui non si butta mai via niente e mi aprono con le mie stesse lame, le staccano dalla mia testa, le affilano e ci macellano con le nostre stesse corna.
Più dolce sarebbe finire con un corno vero nelle costole o nella gola, giocando di notte in un recinto mediterraneo, oppure allenando nomadi notturni che saltano tra di noi per studiarci e capirci, per studiarsi e capirsi, ma senza spade, solo con lunghi coltelli che usano nel buio per vedere chi è più forte veloce furbo scattante.
Ogni tanto ne rubiamo uno di questi nomadi che resta lì a terra a sgorgare il suo liquido rosso e trema e gorgheggia qualcosa che non capiamo, ogni tanto uno di loro per gioco o per alterigia infila la lama troppo a fondo ed eccoci di nuovo lì: Baal, Mitridate, Minosse. Nandi bull. Dio da massacrare. Dio da conquistare. Potenza eterna e forte e comunque per sempre stramazzante all’uscita di qualche labirinto, ai piedi di elfi d’oro che ci amano, ci curano, ci nutrono, ci baciano con le labbra dei loro bastoncini che battono battono per farci andare qui e là.
Ballano sui loro piedini, danzano le loro gambette furbe, attorno all’isola di forza e pazienza che continua a unirsi al loro gioco: veicolo, fabbrica di nutrimento bianco, ruminante sacrificio di carne e sangue.
Far sacro. Sacer fecit. Dio terra. Di terra. Per la terra. Siamo voi. Non lo capite. E continuate ad abbracciarci con i vostri artigli affilati cercando di sfilarci la vita.
Ma siamo voi. Siamo voi. Basta guardare bene in quell’occhio rimasto spalancato e aperto a guardare satvico e impassibile tutto ciò che è fuori, tutto ciò che è dentro, tutto quel che è oltre.
Guardatemi in quell’occhio immobile e lo vedrete. Troverete quello che le vostre unghie acuminate cercavano dentro al nostro cuore.
Cercatevi lì.
Ci troveremo.
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