Alba a Villa Pamphilj (di Lia Capizzi)
Nov 18, 15
Lia Capizzi
Giornalista
La nostra prima volta. Io l’ho incontrata ad una finale di X Factor, ma in realtà ci seguiamo solo su Twitter… mi piace molto come racconta il nuoto.
Alba a Villa Pamphilj
Roma, iPhone. 2013
La foto. Mi affascina sempre la nebbia che sale dalla terra, dopo l’alba.
Maledetta.
Maledetta sveglia. Questa mattina ti avrei voluta scagliare contro il muro con violenza.
Quel tuo suono urticante e penetrante con cui mi ordini di alzarmi. E se poi decido di ignorarti tu non mi lasci scampo, come una signora Rottenmeier dopo 10 minuti torni ad assordarmi, per farmi sentire in colpa.
(Ma la colpa è mia quando ho deciso di puntarti all’alba, alle 6 in punto).
Maledetta. Oggi ti ho proprio odiato. Sgusciare fuori dalle coperte è stata una faticaccia.
Lo sapevo che il terzo bicchiere di Cannonau dovevo rifiutarlo ieri sera.
Lo sapevo che tornata a casa non avrei dovuto accendere la tv. Se poi trovi Federer che gioca la semifinale del torneo di Cincinnati a mezzanotte e passa, vuoi non vederlo?
Con l’occhio destro socchiuso mi chiudo alle spalle la porta di casa. E’ pure una mattina fredda, umida. Ma chi me l’ha fatto fare?
Dai su, smettila di mugugnare, il mio io talebano bisticcia con l’altro io pelandrone.
Inizio a correre. Piano piano, che le mie gambe ancora non si riconoscono tra di loro. Pesanti e scorbutiche. Chiedo pure aiuto alla mia musica, ci vuole qualcosa di energico oggi. E sia, Skunk Anansie nelle orecchie.
Incrocio sempre lo stesso signore che educatamente mi sorride. Contraccambio. Il mio primo sorriso della giornata, di educazione e di ammirazione. Due volte alla settimana sono sicura di trovarlo sempre qui, alla stessa ora, pimpante nonostante il ritmo di corsa più lento del mio. Alla sua età io avrei la stessa costanza?
Guardo l’ora. Già passati 20 minuti? E non me ne sono nemmeno accorta?
La voce potente di Skin sta diventando un sottofondo. A suonare sono ora i miei pensieri. Un po’ sparsi arruffati.
Il rumore è quello delle foglie calpestate, quasi una cantilena. Il fiato regge, altri 20 minuti e potrò ritenermi soddisfatta. I piedi vanno ormai con il pilota automatico. E gli occhi sorridono.
Perché oggi il sole appena nato è uno spettacolo. Sembra un bambino.
Gioca a nascondino tra i rami, mi regala tagli di luce che non avrei potuto gustarmi se fossi rimasta a letto. Mi sento leggera e carica (e mi aspetta una giornata di lavoro bella densa…).
Ah, che meraviglia.
Quel tuo suono urticante e penetrante con cui mi ordini di alzarmi. E se poi decido di ignorarti tu non mi lasci scampo, come una signora Rottenmeier dopo 10 minuti torni ad assordarmi, per farmi sentire in colpa.
(Ma la colpa è mia quando ho deciso di puntarti all’alba, alle 6 in punto).
Maledetta. Oggi ti ho proprio odiato. Sgusciare fuori dalle coperte è stata una faticaccia.
Lo sapevo che il terzo bicchiere di Cannonau dovevo rifiutarlo ieri sera.
Lo sapevo che tornata a casa non avrei dovuto accendere la tv. Se poi trovi Federer che gioca la semifinale del torneo di Cincinnati a mezzanotte e passa, vuoi non vederlo?
Con l’occhio destro socchiuso mi chiudo alle spalle la porta di casa. E’ pure una mattina fredda, umida. Ma chi me l’ha fatto fare?
Dai su, smettila di mugugnare, il mio io talebano bisticcia con l’altro io pelandrone.
Inizio a correre. Piano piano, che le mie gambe ancora non si riconoscono tra di loro. Pesanti e scorbutiche. Chiedo pure aiuto alla mia musica, ci vuole qualcosa di energico oggi. E sia, Skunk Anansie nelle orecchie.
Incrocio sempre lo stesso signore che educatamente mi sorride. Contraccambio. Il mio primo sorriso della giornata, di educazione e di ammirazione. Due volte alla settimana sono sicura di trovarlo sempre qui, alla stessa ora, pimpante nonostante il ritmo di corsa più lento del mio. Alla sua età io avrei la stessa costanza?
Guardo l’ora. Già passati 20 minuti? E non me ne sono nemmeno accorta?
La voce potente di Skin sta diventando un sottofondo. A suonare sono ora i miei pensieri. Un po’ sparsi arruffati.
Il rumore è quello delle foglie calpestate, quasi una cantilena. Il fiato regge, altri 20 minuti e potrò ritenermi soddisfatta. I piedi vanno ormai con il pilota automatico. E gli occhi sorridono.
Perché oggi il sole appena nato è uno spettacolo. Sembra un bambino.
Gioca a nascondino tra i rami, mi regala tagli di luce che non avrei potuto gustarmi se fossi rimasta a letto. Mi sento leggera e carica (e mi aspetta una giornata di lavoro bella densa…).
Ah, che meraviglia.
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